Le nuove sucessioni

Le nuove sucessioni

Leggi l’articolo “Le Nuove Successioni” pubblicato sulla Rivista “Patrimoni maggio 2014”

Il 7 febbraio scorso, con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 154/2013, è giunta in porto la tanto attesa riforma della filiazione, avviata dalla L. 10 dicembre 2012, n. 219 “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”.

L’intervento normativo, che introduce lo status unico di figlio andando ad elidere le discriminazioni tra figli naturali e figli legittimi, è stato salutato come un atto di civiltà.

Oltre a segnare una svolta nell’ordinamento giuridico italiano, di fatto testimonia una nuova impostazione socio-culturale, nonché il recepimento dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: la protezione della vita familiare e il divieto di qualsiasi discriminazione, garantiti dalla Carta dei diritti dell’Unione Europea, dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, nonché dalle molteplici convenzioni a tutela dei minori e dell’infanzia.

E’ molto significativo che l’equiparazione tra figli di diversa nascita passi anche attraverso un’operazione di pulizia lessicale: le espressioni “figli legittimi” e “figli naturali” ricorrenti nel codice civile e nelle altre leggi sono state sostituite con la sola parola “figli”.

In questo contesto, il pieno riconoscimento della parentela tra figli di genitori non coniugati e consanguinei anche collaterali ed i conseguenti riflessi successori rappresentano sicuramente uno degli aspetti più rilevanti della riforma.

Fino a ieri, la mancanza di un riconoscimento della parentela collaterale si ripercuoteva infatti sui diritti ereditari. Solo i figli naturali del defunto potevano ereditare, mentre rimanevano esclusi gli ascendenti, i fratelli e le sorelle naturali del defunto, i quali ereditavano solo in assenza di parenti legittimi fino al sesto grado o prima dello Stato. Bastava quindi la presenza di un cugino per escludere la successione ab intestato di un fratello naturale.

Oggi invece, a seguito della novella che ha portato il pieno inserimento del figlio naturale nella famiglia di discendenza biologica, anche gli ascendenti del figlio naturale possono ereditare da questi, ma, soprattutto, anche i fratelli naturali potranno ereditare gli uni dagli altri e non già secondo l’ordine residuale prima dello Stato.

Inoltre, il riconoscimento a tutti i figli dello stesso stato giuridico ha comportato l’abolizione della c.d. facoltà di commutazione, che favoriva i figli legittimi rispetto a quelli naturali, consentendo ai primi di estromettere il figlio naturale dalla comunione ereditaria offrendogli di soddisfare in denaro la sua porzione (salva diversa valutazione del giudice).

Con lo stesso spirito antidiscriminatorio, vengono ora trattati anche i figli c.d. incestuosi, che d’ora innanzi potranno essere riconosciuti indipendentemente dalla condizione di buona fede dei genitori all’atto del concepimento; condizione che, d’altronde, nulla ha a che vedere con la posizione di figlio.

La nuova previsione chiude un percorso pluridecennale, relativo a quella che è da sempre la categoria più discriminata dei figli nati fuori dal matrimonio.

La procedura per il riconoscimento dei figli (naturali o incestuosi) viene tra l’altro snellita nell’intento di favorire i più piccoli e quindi rendere più facile il percorso e al contempo limitare la possibilità per madri e padri di tornare sui loro passi. Così vengono ridotti a un anno dall’annotazione sull’atto di nascita del riconoscimento o dalla conoscenza di altri fatti i termini per impugnare il riconoscimento, con un limite massimo comunque di 5 anni dalla suddetta annotazione.

Non ci sono limiti temporali invece per il riconoscimento.

Inoltre anche i giovanissimi sono liberi di assumersi le proprie responsabilità di padri e madri: viene infatti riconosciuta la facoltà anche ai genitori di età inferiore ai 16 anni, e previo consenso del giudice, di riconoscere i propri figli, così come viene abbassato il limite di età, da 16 a 14 anni, entro cui occorre il consenso del minore per il riconoscimento.

Anche l’ascolto del minore viene valorizzato come diritto e quindi come adempimento necessario nei procedimenti giudiziari che lo riguardano, salvo che non sia in contrasto con l’interesse dello stesso minore. Il limite di età è quello al di sopra dei 12 anni e può scendere ad età inferiore, qualora capace di discernimento.

Ancora nell’ottica di garantire la parità di trattamento nei rapporti di parentela, è stata introdotta la legittimazione dei nonni a far valere innanzi al tribunale per i minorenni il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.

Infine, un cenno di riguardo merita l’avvenuta sostituzione della categoria della “potestà” con quella della “responsabilità genitoriale”.

L’innovazione sembra avere un impatto più di natura terminologica che non sostanziale, ma la nuova espressione rischia di determinare fraintendimenti, soprattutto con riguardo agli istituti della limitazione e decadenza dalla potestà, ove l’uso della locuzione “responsabilità genitoriale” potrebbe far pensare a un’intervenuta decadenza e quindi alla cessazione dei doveri morali e materiali nei confronti del figlio.

Ci si aspetta quindi l’intervento dei tribunali per delineare i contorni di questa nuova categoria.

Riscontriamo inoltre un altro importante elemento di criticità: la riforma, pur avendo notevolmente ridotto l’elenco delle materie attribuite al Tribunale dei Minorenni, ha lasciato aperto il problema della frammentazione delle competenze tra quest’ultimo ed il Tribunale ordinario. La conseguente mancanza di uniformità della disciplina processuale genera irragionevoli disparità di trattamento, in quanto oggi i procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati vengono celebrati con modalità diverse secondo la prassi invalsa nei singoli tribunali. La soluzione dovrebbe essere l’auspicata istituzione di organi giurisdizionali specializzati nella materia della famiglia e dei minori.

In attesa di tale soluzione, se non altro sembra che la riforma, attraverso l’equiparazione tra figli, determinerà una forte riduzione del contenzioso giudiziario e una consistente diminuzione dei procedimenti civili di volontaria giurisdizione.

Questo potrebbe costituire un importante traguardo, non minore di quello già raggiunto dalla riforma per aver finalmente dato voce a quello che da tempo in molti chiedevano: l’uguaglianza tra figli nati all’interno del matrimonio e figli nati fuori del matrimonio o adottivi.